Questo articolo non ti dirà nulla di sorprendente.
Ciò che vuole è far ri-emergere in te qualcosa che è insito e accomuna tutti noi.
La nostra biofilia.
Che è talmente ovvia che spesso ce ne dimentichiamo.
Ma partiamo con la storia di Giacomo. Giacomo è un bambino urbanizzato e vive nella periferia di Milano. Non gli piace andare a scuola, lì non c’è del verde, il cortile è completamente grigio, le aule hanno delle grandi sbarre e sono illuminate da luci artificiali. In più, tra la mascherina e le finestre sempre chiuse gli manca spesso l’aria, si sente in gabbia.
Giacomo passa la maggior parte delle sue giornate in ambienti indoor, ovvero chiusi, come del resto anche i suoi genitori, i suoi insegnanti e gli adulti intorno a lui. Infatti, la ricerca ci mostra che ancor prima della pandemia (quindi anche in questo caso “non è colpa del COVID”) spendiamo il 90% del nostro tempo in ambienti chiusi (European Commission, 2003): che siano questi scuola o ufficio, supermercati o negozi, bar o palestra, o mezzi di trasporto. Ma cosa può accadere nel lungo termine?
Per capirlo, prendiamo l’esempio degli animali dello zoo. Abbiamo rinchiuso gli animali in gabbie talmente piccole e artificiali, da causare loro problemi fisici, psicologici e sociali, e persino la morte. Per evitare tutto questo, paesi come quelli scandinavi, hanno progettato i cosiddetti zoo “aperti”, dove gli animali vivono in ambienti spaziosi e paesaggistici, simulando i loro habitat naturali. Con l’obiettivo di assicurarci la loro salute, benessere e una vita il più “selvaggia” possibile, in questi zoo “invertiti” sembra che gli umani siano messi in mostra, mentre agli animali viene dato il maggior spazio possibile per vagare.
Anche il nostro habitat, per il 95% della nostra storia evolutiva, è stata la natura selvaggia (Barbiero, 2017). Qui è cresciuta la nostra specie ed ha avuto origine la mente umana (Wilson, 1984). Il nostro ambiente oggi è come quello degli zoo del passato, fatto di gabbie artificiali, che stanno causando gli stessi problemi fisici, psicologici e sociali che gli zoo del passato hanno causato agli animali. Oggi siamo diventati una specie indoor e crescere in ambienti urbani aumenta del 55% il rischio di sviluppare problemi di salute mentale (Engemann et al., 2019) di cui nel mondo soffre 1 persona su 4 (WHO, 2018).
L’unica esperienza di ambiente vissuta da Giacomo è di un contesto urbano che, tipicamente, ha una quantità elevata di artificialità e inquinamento. Tuttavia, Giacomo non li percepisce come tali, ma come norma o “prototipo di ambiente”. Perchè? La nostra esperienza del mondo è organizzata in maniera prototipica, così, le nostre valutazioni dell’ambiente dipendono dal grado di discrepanza dall’ambiente che stiamo valutando rispetto al nostro prototipo di quel tipo di ambiente. Con un grado di discrepanza elevato dal proprio prototipo si ha una sensazione di bruttezza, di spiacevolezza, mentre con un grado di discrepanza lieve si ha una sensazione di piacevolezza e quindi di preferenza (Purcell, 1987).
Tuttavia, quando a Giacomo viene chiesto di disegnare il suo “luogo felice” egli disegna, come il 96% dei bambini (Sturgeon, 2019), un luogo outdoor, quindi all’aperto e a contatto con la natura.
I bambini sono profondamente interconnessi con l’ambiente, a partire dal loro corpo ed i suoi 5 sensi, che fungono da canali di comprensione del mondo. Attraverso di essi, l’ambiente è in grado di generare emozioni, pensieri e comportamenti. Non a caso le principali strategie di neuromarketing (Pirotta, 2019) che mettono il consumatore bambino al centro si fondano sul principio fondamentale di sfruttare i 5 sensi per attirare la sua attenzione, emozionarlo e contendersi le scelte di acquisto dei genitori.
Ma torniamo a Giacomo, come possiamo attirare la sua attenzione e generare in lui emozioni in modo ancora più pervasivo del neuromarketing? Come possiamo dargli la possibilità di vivere il suo “luogo felice” in prima persona ed attraverso i suoi 5 sensi?
Portandolo fuori dalla gabbia, in natura. L’emozione biofilica costituisce una risorsa fondamentale a disposizione di tutti gli esseri umani (Barbiero & Marconato, 2016).
Infatti, quando Giacomo è a contatto con il mare, il suo cervello risponde sintonizzandosi sulla frequenza alfa, indice di uno stato mentale rilassato e creativo, che può arrivare fino allo spettro delle onde theta tipico degli stati meditativi (Serrano, 2021). Questo paesaggio sonoro, il colore rassicurante, l’odore di vita, il sapore di sale, il contatto con sabbia e acqua – fanno riemergere in lui emozioni ancestrali e universali risvegliando la sua biofilia.
Questo termine è stato coniato per la prima volta dallo psicanalista Erich Fromm nel 1964 per descrivere la tendenza psicologica ad essere attratti da tutto ciò che è vivo e vitale. La biofilia è stata poi definita dal biologo evoluzionista di Harvard E.O. Wilson (2002) come “la tendenza innata a concentrare la nostra attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente”.
Tuttavia, nei nostri habitat artificiali ormai molto lontani dal mondo naturale, c’è il rischio concreto che l’istinto biofilico non riceva più gli stimoli adeguati. Se i nostri bambini non possono sperimentare il piacere, l’eccitazione, la calma, la fiducia, la sicurezza e il benessere che il contatto con la natura genera in loro, la loro biofilia, come predisposizione genetica, innata ma non istintiva, non potrà manifestarsi.
La biofilia è anche la base psicobiologica dell’intelligenza naturalistica, che può emergere ed essere valorizzata solo attraverso il contatto diretto con la natura ed una educazione appropriata (Barbiero & Berto, 2016). All’interno della teoria delle intelligenze multiple, l’intelligenza naturalistica è “l’abilità di entrare in connessione profonda con il mondo vivente e di apprezzare l’effetto che questa relazione ha su di noi e sull’ambiente stesso” (Gardner, 1999).
Tuttavia, come osserva Richard Louv in “L’ultimo bambino dei boschi” (2005), se i bambini non sviluppano un adeguato rapporto con la natura, la biofilia non viene stimolata e l’intelligenza naturalistica si atrofizza, provocando danni nel loro sviluppo fisico e psichico che Louv definisce complessivamente come “deficit di natura”.
La ricerca scientifica ha ampiamente dimostrato gli enormi benefici della connessione con la natura degli studenti sulla loro salute fisica, benessere psicologico e performance cognitive, tali da riuscire a ridurre l’ADHD (Kuo and Taylor, 2004; Taylor et al., 2001; Kahn, 1997), aumentare la velocità di apprendimento del 20-26% (Wells & Evans, 2003; Heschong, 2003), migliorare la frequenza scolastica di 3,5 giorni/anno (Nicklas & Bailey, 1996) e i punteggi dei test del 5-18% (Heschong, 1999).
Istituzioni educative in tutto il mondo, tra cui Stanford e Harvard, stanno adottando la scienza applicata del Biophilic Design (Kellert, 2008) o progettazione biofilica, per connettere gli studenti alla natura nella loro vita indoor di tutti i giorni.
Le lezioni apprese dalle best practices internazionali, mostrano che la connessione alla natura riesce a tenere gli studenti a scuola fino alla laurea prevenendo i disagi della dispersione scolastica, ed aiutandoli a concentrare la loro attenzione sull’apprendimento. Questo ha enormi vantaggi anche per la società in generale, poichè migliorando l’efficacia dell’azione educativa, migliorano i risultati di apprendimento e si riducono i costi scolastici (Terrapin Bright Green, 2018).
Giacomo, che sa tutto sull’inquinamento e il cambiamento climatico, non percepisce l’inquinamento nella sua città. Com’è possibile? Lo sviluppo della biofilia non e’ una moda delle popolazioni occidentali urbanizzate. La biofilia non e’ un costrutto culturale che necessita di una sola “trasmissione culturale”. Se così fosse, non sarebbe un problema recuperarla. Potrebbe essere sufficiente proporre un piano didattico, come si fa per qualsiasi materia scolastica.
È urgente stimolare l’innata connessione con la natura – la biofilia o “amore per la vita” – nei nostri studenti attraverso esperienze di apprendimento biofiliche e “riti di passaggio” (Kahn & Kellert, 2002) necessari per trasmettere loro le conoscenze sul modo (i.e., il “know how”) di relazionarsi con la natura. L’interruzione di questa trasmissione di sapere sta contribuendo ad una collettiva “amnesia ambientale generazionale” (Kahn, 2009).
Al diminuire del grado di connessione alla natura, svanisce generazione dopo generazione, il nostro ricordo e legame con la natura stessa, sfociando nella biofobia – “paura (di altre forme) di vita” – e rendendo ancora più grave il degrado ambientale.
Al contrario, il passaggio dell’emozione biofilica dal livello sensoriale e percettivo al livello cognitivo la trasforma in una fonte di apprendimento che stimola lo sviluppo dell’intelligenza naturalistica (Gardner, 1999). L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite ci chiama all’azione: educare alla biofilia è di vitale importanza (SDG 4), per il benessere (SDG 3) di Giacomo e della sua comunità urbana (SDG 11), ma soprattutto per tutti gli esseri viventi che co-abitano la nostra vita nell’acqua (SDG 14) e sulla terra (SDG 15).
Rita Trombin
Psicologa Ambientale
La natura è come un libro spalancato davanti a noi; chi comprende il suo linguaggio può scoprirvi risposte e aiuti meravigliosi per avanzare nella propria esistenza e riuscire a superare tutte le difficoltà della vita.
Omraam Mikhaël Aïvanhov (1937-1986), filosofo e pedagogista
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